Eccoci di nuovo qui, a fare i conti con l’ennesimo anno rimasto oramai alle spalle ma che, almeno per me, non ha mai lasciato così tanto il segno. Guardare al Ciliota dal di fuori è come pensare ad un piccolo ecosistema, un prototipo della realtà esterna, dove la vita, la gente, il mondo, non fa altro che metterti in continua discussione, metterti alla prova, testare la tua forza di volontà, la tua pazienza, ma senza riuscire a vedere chi davvero tu sei, senza capirti a fondo, confondendoti con gli altri, persone in circolo.
Il fatto è che, per noi, gli studenti che sono il Ciliota, che nel Ciliota cercano di trovare un po’ la loro casa e alla fine trovano la loro famiglia, per i ragazzi che scelgono di essere lì e che hanno un nome, Veronica, Anna, Cinzia, Enrica, e che grazie alla loro unicità creano, ripartono, si mettono in gioco, si espongono, donano, soffrono, gioiscono, si tendono la mano, il ciliota per loro, PER NOI è la nostra realtà, quella che noi, giorno dopo giorno creiamo insieme. Sconfitte universitarie, delusioni d’amore, soddisfazioni e traguardi sognati e raggiunti. Noi li creiamo giorno per giorno. E non solo al martedì sera, tra il piatto svuotato e l’attesa del dolce. Ogni giorno. Quando bisogna stilare una lista dei turni di pulizia in casa, quando una di noi sta male e bisogna accudirla, quando una prepara il pranzo per tutte alla domenica. Ma anche, e soprattutto, quando nascono le idee per un nuovo incontro da condividere con gli altri, quando si rimane fino alle 3 di notte ad organizzare, stanchi ma insieme, quando si progettano grandi cose e poi piano piano si realizzano, con entusiasmo e tempo donato gratuitamente.
Come dicevo, quest’anno come non mai per me è stato intenso. Un nuovo bellissimo appartamento dove già dal primo giorno sono stata messa alla prova, dalle mie nuove coinquiline, che facevano fatica ad ingranare ed entrare in sintonia con l’ambiente che ho appena descritto, e poi, come sempre, instancabile, da Raffaella, che mi ha chiesto e dato la forza di insistere, di provarci, di non arrendermi davanti ai muri che la gente innalza, di arrampicarmi e guardare oltre, dritto negli occhi, fermarmi e dire ‘questa strada la facciamo insieme’ come possiamo, come vogliamo. È quello che ho sempre fatto io ed è quello che ha sempre fatto Raffaella. Con i piedi incollati per terra ma la testa verso tutte le possibilità che un posto del genere, che persone del genere, può farci realizzare. E ne abbiamo realizzate… Le serate con Andrea Antonello, a cui noi abbiamo creduto e ci siamo spesi dall’inizio alla fine, I racconti e le esperienze di Divya e Serena, la passione smisurata di Tommaso per l’arte, una festa di fine anno pazzesca e la mia prima vera esposizione, dove a parlare di chi io sono c’erano i miei disegni e le mie fotografie.
Cosa sarebbe questo posto senza l’entusiasmo, l’amore, la missione che Raffaella si è caricata sulle spalle e sul cuore, a dispetto del suo tempo libero, della sua sanità mentale, del suo privato? Non sarebbe il Ciliota. Non sarebbe il posto dove io ho trovato rifugio qua a Venezia, distante chilometri e chilometri da casa mia, dove ho trovato l’unica sicurezza di cui avevo bisogno, sapere che avrei sempre avuto qualcuno al mio fianco. E per sempre intendo sempre davvero! 24 su 24, 7 su 7. Che il problema fosse non ho più il latte per fare colazione, ho bisogno di un aiuto per un esame, sono triste, non credo in me, ho quest’idea.
Raffaella c’è. È al mio fianco, cammina insieme a me. Raffaella è quella che non si siede mai, quella che a cena spinge e pulisce i vassoi insieme a noi, che porta un dolce preparato da lei in sessione di esami, che ti ascolta mentre piagnucoli anche fino all’alba per non lasciarti sola, che conosce gli aspetti più delicati e fragili di noi e li sa amare e rispettare, che fa di tutto, più di quanto meritiamo, per farci sentire persone e non semplici studenti universitari che pagano un affitto, che hanno delle regole da rispettare. Raffaella è fiducia. E poi magari a qualcuno verrebbe da dire, ma in fondo lei che ci guadagna? Che ci guadagna a perdere il sonno? Che ci guadagna a dare il triplo di quello che basterebbe? Che ci guadagna ad esporsi così, a fare incazzare la gente, a mettersi nei guai, a spendersi per noi, i Ciliotini? Penso che, chi vive secondo questo pensiero ‘che ci guadagno ‘ potrà presto giungere alle sue conclusioni, se non c’è già giunto. Io, che dopo tre anni sono ancora qui, e sono quella che sono diventata, e ho fatto quello che ho fatto e a volte mi chiedo come sarà questo posto nei prossimi anni, dopo i segni che quest’anno abbiamo lasciato, non solo per noi ma per questo posto, i muri scavalcati e dipinti, penso solo a quello che potrò continuare a dare, quello che potrò continuare a fare, quella che potrò continuare ad essere.
“non c'è peggiore sordo di chi non vuol sentire tu pensa a chi non sente e poi ne vuol parlare” da Caro Il Mio Francesco, di Ligabue